Introduzione tesi di laurea

Mariaelisa Santonastaso Psicologa Clinica e di Comunità,
Assistente Ricercatrice, Dorset HealthCare NHS Trust  

Comunicare l’un l’altro , scambiarsi informazioni è natura;
tener conto delle informazioni che ci vengono date è cultura.
Johann Wolfgang Goethe


Tesi di Laurea : “EMOTIONAL PROCESSING SCALE – Validazione Italiana”
Relatore: Prof.Ssa Paola Gremigni
Laureanda: Mariaelisa Santonastaso
Università di Bologna – sede di Cesena – Facoltà di Psicologia
Anno Accademico 2004-2005

Col presente lavoro di tesi si intende presentare un nuovo strumento: l’“Emotional Processing Scale” e la sua validazione in ambito italiano. Ideato dal Professor Roger Baker (psicologo clinico e ricercatore all’Hospital NHS Trust, di Poole, nel Regno Unito), tale reattivo mentale ha ottenuto grande considerazione in ambito anglosassone per l’alta discriminazione che è in grado di effettuare tra individui sani, con disturbi fisici e psichiatrici sulla base del processamento delle loro emozioni.

Sin dall’inizio dei miei studi in ambito psicologico ho sempre nutrito un vivo interesse sui fattori individuali implicati nello stato di benessere psico-fisico.

Quando si parla di salute-malattia occorre non perdere di vista la considerazione dell’individuo all’interno di un’ottica biopsicosociale, rilevando così la complessità di fattori che intervengono sull’esordio, lo sviluppo e l’esito di patologie sia psicologiche sia fisiche. Si definisce in tal modo una causa multifattoriale di malattia, nella quale un ruolo d’interazione tra psiche-soma è da tempo studiata e le emozioni risultano certamente avere un ruolo importante.

Riguardo allo stato di malessere-benessere ormai la psicologia, sulla base dei numerosi studi sperimentali, ritiene scontata l’interdipendenza tra la mente e il corpo, che spesso purtroppo ancora il senso comune tende a considerare separatamente. Non solo un disagio fisico (un dolore, una disfunzione) potrebbe generare una sofferenza psicologica, ma potrebbe essere vero anche l’inverso. La mancanza di benessere psicologico può predisporre ad una maggiore sensibilità alle malattie organiche.

Quello di cui si è certi è che, da un punto di vista funzionale, le emozioni attivano il sistema nervoso centrale, il sistema vegetativo ed il sistema endocrino; rappresentano quindi uno dei processi psicofisiologici più complessi e interessanti. Il coinvolgimento di questi importanti sistemi è la dimostrazione di quanto le emozioni siano, in primo luogo, una risposta adattiva dell’organismo agli eventi ambientali e anche per questo esse vengono considerate, su un piano psicologico, particolarmente rilevanti.

Si è dunque iniziato ad indagare su tale direzione questo fenomeno in relazione alla malattia e oggi si ritiene che la regolazione affettiva giochi un ruolo importante nell’insorgenza di disturbi fisici.

Quanto descritto spiega il motivo per cui quello delle emozioni è per me un ambito molto interessante, se pur dal non facile approccio, proprio per l’alta variabilità inter ed intra-soggettiva, nonché per la difficoltà di osservazione e d’inferibilità anche attraverso il comportamento.

Quali aspetti, più degli eventi emozionali, risultano essere tanto differenti tra un individuo e un altro, in grado di generare modificazioni fisiologiche nonché psicologiche altamente soggettive e diversificate?

Tuttavia molti studiosi si sono cimentati in questo tentativo e molto spesso ricavandone importanti risultati.

Lo studio sulle emozioni ha origini assai remote. Potremmo accennare all’età classica, agli studi filosofici e letterari con grande varietà di corpus ed opere, ma ciò andrebbe ben oltre lo scopo di tale lavoro. A tal proposito ho deciso semplicemente ricordare soltanto una piccola parte di coloro che hanno dato un forte ed efficace contributo allo studio dell’argomento su cui ho deciso di incentrare una prima parte teorica.

Charles Darwin fu in ogni modo uno dei primi studiosi sperimentali col merito di aver introdotto lo studio delle emozioni nell’ambio dell’evoluzione e di aver considerato queste non solo da un punto di vista prettamente antropologico.

Ritenni doveroso presentare William James e la sua “teoria periferica delle emozioni”, il quale mise in discussione la credenza comune che le emozioni siano una conseguenza della situazione, “noi non scappiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché scappiamo”. Vengono analizzate anche le critiche proposte da Walter Cannon a tale modello, che contrappose alla teoria periferica delle emozioni di “James-Lange”, una teoria centrale definita di “Cannon-Bard”.

Dopo una presentazione di Ekman, Friesen e Levenson che danno importanti conferme alle teorie periferiche, si illustrano le teorie cognitive sulle emozioni. I sociopsicologi della Columbia University, Stanley Schachter e Jerome Singer, diedero una nuova vita e nuova soluzione alla disputa tra James e Cannon. Invece Richard Lazarus, psicologo clinico, studiò la valutazione che gli individui hanno degli eventi stressanti. Tutt’oggi è riconosciuto il forte impatto sullo stato di salute che possono avere potenziali stressors.

A differenza della causalità circolare delle emozioni teorizzata da Lazarus, Frijda invece ritenne che l’esperienza emozionale fosse l’output dell’intero processo. La differenziazione tra le emozioni per Frijda deriverebbe da specifiche valutazioni

Nel tentativo di integrare le teorie cognitive con quelle periferiche, Leventhal e Scherer propongono una teoria costruttivista delle emozioni. Secondo gli autori, queste ultime sarebbero risposte comportamentali complesse che riflettono l’attività di un sistema multicomponenziale di processamento organizzato su tre livelli gerarchici.

Cacioppo, Berntson e Klein (1992) con la “teoria delle illusioni viscerali”, sempre con riferimento ad una concezione periferica delle emozioni, introducono meccanismi cognitivi, con l’interpretazione concettuale delle afferenze viscerali.  In effetti, se pur con differenze, gli autori richiamano i passaggi già ipotizzati da James e Lange.

Segue poi una rassegna degli studi riguardanti il dibattito tra l’esistenza di emozioni primarie e teorie componenziali. Vengono considerate differenze individuali nell’abilità interocettiva di percepire le proprie emozioni, aspetto importante, se non focale di questo lavoro. A tal proposito c’è anche da affermare che i non pochi studi condotti al fine di valutare se l’attivazione fisiologica emozionale faciliti od ostacoli l’interocezione, non hanno ancora fornito risultati univoci e necessitano di ulteriori approfondimenti. Si pensa che la specializzazione dell’emisfero destro potrebbe costituire un elemento di mediazione della relazione fra processi interocettivi ed emozionali.

Oltre a quanto suddetto, è stato opportuno dare importanza e rilievo all’aspetto fisiologico delle emozioni, che caratterizza la Seconda Parte del lavoro. Si ricorda che tanti studiosi si sono cimentati nel ricercare una sede cerebrale delle emozioni, nonché nello studio di quali siano i funzionamenti normali e quali patologici di tali meccanismi:

Nel 1937 J.W. Papez sostenne l’esistenza di vie cerebrali che mediano l’esperienza emozionale. Il neurologo presentò dei dati che indicavano come diverse strutture cerebrali siano coinvolte nelle varie fasi del comportamento emozionale e della consapevolezza. Studi successivi hanno poi validato le sue ipotesi.

Un grande ricercatore che ha dedicato molti studi al tentativo di comprendere il ruolo del sistema limbico è Paul MacLean, un neurofisiologo che introdusse l’importante teoria del Cervello Trino, secondo la quale, il nostro Sistema Cerebrale è l’esito evolutivo della sovrapposizione di altri sistemi precedentemente evolutisi.

Robert Heath ha studiato la fisiologia e la biochimica cerebrale sia negli esseri umani sia negli animali. La sua ricerca rese possibile una concezione più ampia delle basi neurali delle emozioni e, mediante l’uso dei potenziali evocati, identificò specifiche zone come coinvolte nell’espressione emozionale.

E’ poi illustrata l’importanza che attualmente viene data al sistema limbico come punto nodale dell’elaborazione delle emozioni. Oggi si è notato che risulta fuorviante parlare di un unico luogo del nostro sistema nervoso centrale deputato all’origine degli stati emotivi, ma si è in ogni modo evidenziato come alcuni circuiti cerebrali siano maggiormente implicati rispetto ad altri.

Si descrivono i meccanismi d’azione dei neuropeptidi, considerati il punto di unione tra psiche e soma. Si dà inoltre importanza come, attraverso tali neurotrasmettitori, le emozioni possano influenzare il sistema immunitario e come dallo stress si possa generare la malattia.

Le emozioni svolgono un ruolo importante, poiché si è dimostrato, come anche s’illustrerà in questo lavoro, che non solo persone ansiose o depresse sono più soggette a malattie fisiche, ma che un errato modo di elaborare le proprie emozioni può interferire, peggiorare o predisporre a malattie fisiche in un insieme di concause che agiscono sull’individuo.

Pertanto, partendo dal presupposto che deficit nel processo emozionale siano implicati nello sviluppo e nel mantenimento di una serie di disturbi non solo psicologici, ma anche fisici, si è elaborato uno strumento,l’Emotional Processing Scale (EPS)che fosse in grado di identificare lo stile del processo emozionale e le sue disfunzioni, di predire i risultati ai trattamenti psicoterapici, eventuali cambiamenti negli individui e dunque, che fosse utile anche per orientare la terapia.

Lo studio di Roger Baker e collaboratori si è avvalso della teoria di riferimento proposta nel 1980 da Rachman, il quale definì l’elaborazione delle emozioni come “un processo con cui i disturbi emozionali sono assorbiti o ripiegati in modo che le altre esperienze e comportamenti possano procedere senza interruzioni”. L’Autore notò che alcune persone elaborano la maggior parte degli eventi disturbanti non in modo del tutto corretto, con qualche fallimento nel processo di regolazione emozionale. Esiti di processi psicologici incompleti, per Rachman, includono ossessioni, disturbi del sonno, pensieri spiacevoli e disturbanti, allucinazioni o il ritorno di qualche paura dopo un periodo d’assenza.

L’EPS è stata progettata per una sua applicazione su individui normali, con disturbi psicologici, con malattie fisiche e con condizioni psicosomatiche. Il suo utilizzo può essere esteso dall’ambito clinico a quello di ricerca. Possiamo sostenere che nonostante ci siano molte scale e questionari che valutano le emozioni, nessuno è mai stato in grado di indagare sulla totalità delle emozioni e di darci una visione unitaria dei processi emotivi come tale strumento. È una scala formata da 53 item distribuiti su ben otto fattori fondamentali (egodistonicità, accordo, esternalizzazione, soppressione, incontrollabilità, dissociazione, intrusività ed evitamento), connessi allo stile dell’esperienza emozionale, ai meccanismi di controllo dell’esperienza, all’espressione delle emozioni e al significato di processamenti inadeguati.

L’attendibilità interna è risultata alta per sei degli otto fattori e i risultati sono stati soddisfacenti per il test-retest e per sensibilità ai cambiamenti. L’evidenza della validità di convergenza è stata dimostrata dal confronto con altre scale sulle emozioni e misurazioni di sintomatologia psichiatrica. La scala fu in grado di distinguere significativamente tra individui con un disturbo psichiatrico e adulti sani su tutti gli otto fattori. È stato notato un pattern differente di deficit del processo emozionale, confrontando i pazienti malati di cancro al colonretto con un normale gruppo di controllo. Si è notato che un’eccessiva regolazione delle emozioni può essere connessa ad un numero maggiore di disturbi fisici, psicologici, psicosomatici, includendo malattie cardiovascolari, cancro, artrite, dolore cronico, infiammazioni intestinali. La scala può essere d’aiuto nello spiegare l’esordio e il mantenimento di disordini psicologici come disturbi di panico, depressione e PTSD.

Complessivamente, le proprietà psicometriche di questa scala si presentano promettenti riguardo ad una misurazione dei deficit nel processo emozionale, sia in ambito di ricerca sia clinico.

Seguirà la descrizione sulla validazione italiana dello strumento, analogie e differenze con la validazione nel Regno Unito, i risultati emersi, nonché le prospettive per il futuro.

Senza dubbio tale lavoro è stato utile a levare il velo su qualche altro interrogativo in proposito, e per aggiungere qualche importante tassello nel mosaico dell’attuale ricerca sull’argomento.